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La stessa spianata del primo atto. — Calda notte d’estate, solcata da stelle cadenti. In fondo, le tenebre fitte sono violentemente squarciate dalle vetriate fiammeggianti del castello, le cui muraglie spiccano con crescente precisione sullo sfondo azzurreggiante del cielo. Sul sentiero di ronda, dietro agli spalti, dei guatteri passeggiano come sentinelle, portando sulla spalla una lunghissima forchetta d’argento che sembra infilzare le stelle ammiccanti.

A sinistra, a venti passi dalla ribalta, s’eleva il trono provvisorio di Re Baldoria, eretto su di un ampio palco circolare, i cui gradini sono coperti d’un tappeto infangato. Davanti al trono, a sei passi dalla ribalta, un grosso tronco d’albero morto protende le sue tre braccia pietrificate, simile a un candelabro.

A destra, a tre passi dalla ribalta, una panchina di marmo, circolare, sormontata da un busto di Panciarguta, coronato di ravanelli.

Dei corpi umani coricati dormono avvolti in mantelli, stretti l’uno all’altro, a gruppi di tre o quattro.

Echeggia ad ogni minuto, or lontana or vicina, la parola d’ordine; «Sauce Tartare... Tar...tare!» che i guatteri in sentinella dietro ai merli si lanciano da un punto all’altro del castello.