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257 atto quarto

viscere tanto erano schiacciati; le ossa del loro fragile bacino avevan forata la pelle... Il mio greve bacio di vapore fetido e giallastro li ha fatti sussultare ad un tratto... ed eccoli ritti, che protendono smisuratamente il collo, come struzzi in corsa, dilatati gli occhi per la febbrile golosità delle pasticcerie ideali... Ecco!... I loro denti si schiudono ad un lungo grido di lupa...

GLI AFFAMATI

Famone!...oone!... ooone!...

SANTA PUTREDINE

Brulicano tutti, si alzano, e s’avanzano, agitando la testa mascherata di putridume nerastro e dalle labbra raggrinzite da cui gronda marciume color marrone. Le loro palpebre semiaperte su abissi sinistri sono orlate di grosse mosche azzurrognole che sembrano incastrate nella pelle terrea, come zaffiri in cuoio di Cordova!

Sentite?... Le loro ossature tinniscono come spade incrociate! Le loro dita fanno un rumore di nacchere! Le loro mammelle pendono sui cerchi del torace, come sacchetti vuoti!... Essi non sono né morti né vivi!... Si decompongono da sempre fra le mie braccia!... Sono i miei figliuoli... gli amatissimi figliuoli di Santa Putredine!... Con le mie mani d’avorio ingiallito, ho ricomposte con cura le loro membra disgregate, saldandole con un pesante bacio fuligginoso.... Poi, ho soffiata in essi la febbre amara, esasperante, della vita! Ho versato nelle loro vene la linfa divinizzante che gonfia d’angoscia le vege-