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FAMONE.

Anguilla!... Presto!... Riaccendi la lampada ch’è al disopra del tuo capo! Aggrappati alla corda!

ALKAMAH.

Da bere! Da bere!... In nome di Dio!...

ANGUILLA

saltando sulla tavola e aggrappandosi alla corda del lampadario:

Non si può riaccenderlo... Non c’è più olio...

PAPPONE.

Non è possibile!... Presto! Accendi... Accendi!

Frattanto l’atmosfera del refettorio s’è un po’ rischiarata, e nella penombra si distinguono vagamente le forme

ALKAMAH

s’avvicina alla tavola, appoggiandosi pesantemente al proprio bordone e gridando con ira:

In nome del Diavolo!... Veglio bere!... (Atterra un convitato ubbriaco fradicio, ed occupa lo sgabello di lui, alla sinistra di Pappone, guardando fissamente dalla vetrata aperta sugli Stagni del Passato) Dov’è l’anfitrione?

Nessuno risponde... tranne la luna, che apparendo ad un tratto fra le nuvole, nella cornice della finestra, getta un fascio di raggi verdastri e polverulenti sul pellegrino Alkamah. La sua ombra nera e puntuta si disegna nettamente, contro luce, e le tenebre le s’addensano ai lati. Tutti i profili informi e tumultuosi dei convitati sussultano per un momento, indi restano immoti... I canti, i rantoli, le bestemmie e i singhiozzi degli ubbriachi si propagano attutiti verso la parte più lontana della tavola, cene, su una spiaggia, una stanca risacca.