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sta di cuoco, discepolo ed emulo di Brillat-Savarin, s’era ultimamente indaffarato a ingentilirlo, a togliergli di dosso quel tango di canagliume: l'aveva piegato a non accompagnarsi a certe tronfie e sguaiate cipolle, adipose come belle da marinaio, a certi agli sbiancati e consunti da morbi nascosti, all’olio rancido e caprigno. Ma sotto le nuove spoglie aveva i modi e le volgarità del villan rifatto e a nulla gli valeva la continua frequenza con quell’aggraziato ed epicureo messere che si chiama burro. Ebbe sempre la medesima pancia, tumultuosa e invadente: e dovunque entrasse, nella casa del povero e del ricco, volgeva gli occhi intorno come per imporre rispetto e reverenza, quasi discendesse da troppo magnanimi lombi per non dover stimare men che nulla le restanti creature gastronomiche.

Ma quali erano, di grazia, i suoi titoli nobiliari? La «Cronaca degli memorabilia» di Dacovio Saraceno, per fortuna, sta lì a cantarcene vita e miracoli: «lo macarono nato fue et notricato appo gli Ostragoti, gli quai molto et volantieri con essolui si solaciavano. Dieto macarono erat di spulcia (leggi spelta) et hebbe sua prima dimora in la regia del magno prence Teodarico, idest in Ravenia, lo qua prence affidato avealo a Rotufo, coco suo genialissimo. Il conobbero gli sudditi dello rege, per virtude della femina del coco, che avevasi invaghito dello ofiziale di guardia al palacio et al quale, tra un baciuzzo et uno


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