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pranzo di capodanno
Ormai l’abitudine ha ucciso la gioia dei cenoni di Capodanno: da molti anni i medesimi elementi concorrono ad un’allegria già troppe volte goduta. Ognuno conosce in anticipo l’ingranaggio preciso degli avvenimenti.
Ricordi di famiglia, augurî e previsioni roteano come copie di stampa. Bisogna sfondare l’abitudine per uscire dalla monotonia.
Mille modi vi sono per rinnovare questo banchetto: eccone uno da noi realizzato coi futursimultaneisti di Roma: Mattia, Belli, D’Avila, Pandolfo, Battistella, Vignazia, ecc.
A mezzanotte, dopo l’infinito chiacchierio dell’attesa, si annuncia che il pranzo è pronto. Nella sala le tavole sono state eliminate e i convitati sono seduti su altrettante seggiole disposte in fila indiana, una dietro l’altra.
Si serve l’immancabile tacchino che i camerieri distribuiscono in piatti di metallo: il tacchino è infarcito di mandarini e di salame.
Tutti mangiano in un silenzio imposto: il desiderio di rumore e di allegria è compresso.
Ad un tratto si libera nella sala un tacchino vivo che si dibatte spaventato tra la sorpresa degli uomini e gli strilli delle donne che non comprendono questa resurrezione del cibo inghiot-
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