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pranzo aeropoetico
futurista


Nella carlinga di un Trimotore volante a 3000 metri in un cielo bipartito: svenevole chiaro di mezzaluna madreperlaceo verdolino e semisfera di mezze nuvole lampeggiate di lunghi scorpioni d’oro.

Giù a picco un fiume di solidissimo argento scioglie l’estuario delle sue frenetiche anguille in un mare di pece borchiato di nichel lunare.

Il finestrino di destra: tinnir di vetro legno fringuelli e campanelli. In bocca rispondegli agrestemente il sapore di una pallottola di miele.

Gli occhi fuggono a sinistra, attraverso l’altro finestrino, a suggere la marmellata d’anice bianco che cola una nuvola. Davanti ai commensali, in numero di tre, l’altimetro tondo denuncia: 3000 metri mangiati. Vicino a lui il contagiri, suo compagno di mensa, denuncia: 20 000 giri divorati.

Dall’altra parte dell’altimetro, il velocimetro denuncia: 200 chilometri digeriti.

Lo stomaco del commensale umano centrale corregge con molti acidi volgari l’indigeribile potenza eccitatoria del liquore di luna astratto poetico suicida. La bocca del commensale umano di destra succhia un tubo di neon giallo rosso dorato di estate Africa eterna.


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