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polichiacchierìo e quaccherologia delle rane lacustri che accompagneranno l’apertura lenta della porta-finestra premuta dagli odori di erbe marce, di vecchi giunchi bruciati, venati di ammoniaca e con un ricordo di acido fenico. Tutti i convitati rivolgono i ventilatori a mano come scudi contro la porta-finestra lacustre.

Allora si spalanca la porta-finestra del serbatoio delle frutta e quattro odori (il primo di mele, il secondo di ananas, il terzo di uva moscata e il quarto di carrubi) si precipitano nella sala divenuta inodore. Sfugge un nitrito al convitato neutro, ma subito irrompe dall’altra portafinestra il mare con cento guizzi e anguillamenti di odori salini; con visioni di immensi golfi schiumosi e tranquille rade verdi fresche all’alba.

Guaisce il convitato neutro:

— «Almeno dodici ostriche e due dita di marsala».

Ma la frase viene cancellata insieme col mare e relativa argentea pescheria da prepotenti profumi di rose talmente curvilinei e carnosi che le undici bocche, rimaste fino allora pensose o attonite, si mettono a masticare febbrilmente il vuoto.

Il neutro piagnucola:

— «Per carità, cuochi belli, portateci qualche cosa da masticare, altrimenti vedremo le brutte bocche dei maschiacci addentare le carni insipide delle cinque nostre amiche».


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