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Nella lunghezza di una tavola in forma di parallelepipedo sbucano, scorrendo automobilmente, scomparendo e ricomparendo:
1) un complesso-plastico munito di vaporizzatore con la forma e l’odore di un castello di risotto alla milanese battuto da un mare di spinaci crestati di crema;
2) un complesso-plastico munito di vaporizzatore con la forma e l’odore di una nave di melanzane fritte cosparse di vaniglia, gaggie e pepe rosso;
3) un complesso-plastico munito di vaporizzatore con la forma e l’odore di un lago di cioccolata che stringe un isolotto di peperoni imbottiti di marmellata di datteri.
I tre complessi-plastici vaporizzanti si fermano di botto all’irruzione nella sala di tre sguatteri inguainati di seta bianca e alto berretto bianco lucente, che urlano:
— «siete i padroni, ma anche mascalzoni. Vi decidete o non vi decidete a mangiare le vivande raffinatissime preparate da noi, grandi artisti? Finitela di cincischiare o vi prendiamo tutti a calci».
Il neutro trema come un sismografo speranzoso.
Via.
Un fragoroso scampanellamento di 5 minuti.
Una pausa di silenzio concessa all’invadente
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