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Come in aeroplano


L’Aerobanchetto ha giustificato il proprio nome attraverso la messinscena allestita dagli organizzatori. Le tavole erano state disposte con inclinazioni ed angoli, dando l’impressione di un velivolo. Qua le ali — ma smilze e anguste come in un idro dell’alta velocità — qua la fusoliera, là in fondo la coda. (Disabitata, come suole accadere anche nei velivoli autentici). Fra le ali una grande elica — ferma, per nostra fortuna! — , più indietro due cilindri da motocicletta, promossi per l’occasione al rango di motore aviatorio.

Al posto delle solite tovaglie troviamo dei fogli di carta argentata, che nella fantasia dei promotori vorrebbero essere dell’alluminio, e una lastra di latta lucente funge da sottopiatto, entro cui le signore controllano — oh’ il delizioso specchio di fortuna! — il loro compromesso maquillage.

Il sintetismo della tavola è evidente. Pochissima la roba visibile. I bicchieri sono i soliti, i piatti e le posate idem idem; ma i fiori mancano del tutto e vengono rimpiazzati da... patate crude, colorite all’ingrosso e artisticamente intagliate; e peggio per chi non sa distinguere fra la roba che serve al piacere dello stomaco e quella destinata alla gioia degli occhi. Altra trovata autentica: il pane. Niente rosette comuni, o ba-


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