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«C’è tanta gente, in questo mondo, che può amare forme architettoniche antiche e gustare il vino moderno (preparato negli ultramoderni stabilimenti enologici!) tra le mura di costruzioni a tipo medioevale, o nelle catacombe stranamente complicate, rintronanti di selvagge musiche a base di «jazz-band». Questa gente non pensa affatto che in quelle remote epoche l’uva si pigiava coi piedi; o se pure ci pensa, non vi attribuisce importanza. Probabilmente non vuol neppure ricordare che i fusti in legno di cui intorno trova abbondante decorazione vanno — ahimè! — diminuendo d’importanza nelle cantine nuove che adottano largamente le enormi batterie di vasche in cemento armato a piani multipli.
Ad es.: in uno stabilimento di recente edificazione, presso Roma, su 40 000 ettolitri di capienza, solo 15 000 sono riservati alle botti di legno.
Persino le povere botti, seguono l’influsso del modernismo, e dopo avere tentato di ovalizzarsi al massimo, hanno esploso nella costruzione degli enormi tini di 800 ettolitri.
Noi dobbiamo dominare le nostre personali predilezioni artistiche e battere quelle vie più utilitarie e pratico-economiche di propaganda vinicola che sembrano rispondenti.
A me, col rispetto di tutte le opinioni, sembra che il vino potrebbe oggi cercare e trovare nel-
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