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riscossa. E l’Oceano rispose all’appello, inarcando un dorso enorme e squassando i promontori prima di prender lo slancio. Esso provò lugamente la propria forza, agitando le anche e ripiegando il ventre sonoro fra le sue vaste fondamenta elastiche. Poi, con un gran colpo di reni, l’Oceano potè sollevare la propria massa e sormontò la linea angolosa delle rive.... Allora, la formidabile invasione cominciò.

Noi marciavamo nell’ampio accerchiamento delle onde scalpitanti, grandi globi di schiuma bianca che rotolavano e crollavano, docciando le schiene dei leoni.... Questi, allineati in semicerchio intorno a noi, prolungavamo da ogni parte le zanne, la bava sibilante e gli urli delle acque. Talvolta, dall’alto delle colline, guardavamo l’Oceano gonfiare progressivamente il suo profilo mostruoso, come un’immensa balena che si spingesse innanzi su un milione di pinne. E fummo noi che lo guidammo così fino alla catena dell’Imalaia, aprendo, come un ventaglio, il formicolìo delle orde in fuga che volevamo schiacciare contro i fianchi del Gorisankar.

— Affrettiamoci, fratelli miei!.... Volete dunque che le belve ci sorpassino! Noi dobbiamo rimanere in prima fila malgrado i nostri lenti passi che pompano i succhi della terra.... Al diavolo queste mani vischiose e questi piedi che trascinano radici!... Oh! noi non siamo che poveri alberi vagabondi! Vogliamo delle ali!.... Facciamoci dunque degli aeroplani.

— Saranno azzurri! — gridarono i pazzi — azzurri, per sottrarci meglio agli sguardi del nemico, e per confonderci con l’azzurro del cielo, che, quando c’è vento, garrisce sulle vette come un’immensa bandiera.

E i pazzi rapirono mantelli turchini alla gloria dei Budda, nelle antiche pagode, per costruire le loro macchine volanti.

Noi ritagliammo i nostri aeroplani futuristi nella tela color d’ocra dei velieri. Alcuni avevano ali equilibranti e portando i loro motori, s’inalzavano come avoltoi insanguinati che sollevassero in cielo vitelli convulsi.

Ecco: il mio biplano multicellulare a coda diret-