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il sonno di un mare possente, su una spiaggia. Ma l’entusiasmo inesauribile dell’aurora traboccava già dalle montagne, tanto copiosamente la notte aveva dovunque versato profumi e linfe eroiche. Paolo Buzzi, bruscamente sollevato da quella marea di delirio, si contorse, come nell’angoscia di un incubo.

— Li udite i singhiozzi della terra?... La Terra agonizza nell’orrore della luce!... Troppi soli si chinarono al suo livido capezzale! Bisogna lasciarla dormire!... Ancora! Sempre!.. Datemi delle nuvole, dei mucchi di nuvole, per coprire i suoi occhi e la sua bocca che piange!

A queste parole il Sole ci porse dall’estremità dell’orizzonte, il suo tremulo e rosso volante di fuoco.

— Alzati, Paolo! — gridai allora. — Afferra quella ruota!... Io ti proclamo guidatore del mondo!... Ma, ahimè, noi non potremo bastare al gran lavoro del Binario futurista! Il nostro cuore è ancora pieno di un ciarpame immondo: code di pavoni, pomposi galli di banderuole, leziosi fazzoletti profumati!... E non abbiamo ancora scacciate dal nostro cervello le lugubri formiche della saggezza.... Ci vogliono dei pazzi!... Andiamo a liberarli!

Ci avvicinammo alle mura imbevute di gioia solare, costeggiando una sinistra vallata, ove trenta gru metalliche sollevano stridendo, dei vagoncini pieni d’una biancheria fumigante, inutile bucato di quei Puri, lavati già da ogni sozzura di logica.

Due alienisti comparvero, categorici, sulla soglia del Palazzo. Io non avevo fra le mani che uno smagliante fanale d’automobile; e fu col suo manico di lucido ottone che inculcai loro la morte.

Dalle porte spalancate, pazzi e pazze scamiciati, seminudi, eruppero a migliaia, torrenzialmente, così da ringiovanire e ricolorare il volto rugoso della Terra.

Alcuni vollero subito brandire, come bastoni d’avorio, i campanili lucenti; altri si misero a giuocare al cerchio con delle cupole.... Le donne pettinavano le loro lontane capigliature di nuvole con le acute punte di una costellazione.