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2.

La città di Paralisi, col suo gridìo di pollaio, coi suoi orgogli impotenti di colonne troncate, con le sue cupole tronfie che partoriscono statuette meschine, col capriccio dei suoi fumi di sigaretta sopra bastioni puerili offerti ai buffetti.... scomparve alle nostre spalle, danzando al ritmo dei nostri passi veloci.

Davanti a me, ancora distante alcuni chilometri, si delineò ad un tratto il Manicomio, alto sulla groppa di una collina elegante, che sembrava trotterellare come un puledro.

— Fratelli, — diss’io — riposiamoci per l’ultima volta, prima di muovere alla costruzione del gran Binario futurista!

Ci coricammo, tutti fasciati dall’immensa follia della Via Lattea, all’ombra del Palazzo dei vivi, e subito tacque il fracasso dei grandi martelli quadrati dello spazio e del tempo.... Ma Paolo Buzzi, non poteva dormire, poiché il suo corpo spossato sussultava ad ogni istante alle punture delle stelle velenose che ci assalivano da ogni parte.

— Fratello! — mormorò — scaccia lontano da me codeste api che ronzano sulla rosa porporina della mia volontà!

Poi si riaddormentò nell’ombra visionaria del Palazzo ricolmo di fantasia, da cui saliva la melopea cullante ed ampia della eterna gioia.

Enrico Cavacchioli sonnecchiava e sognava ad alta voce:

— Io sento ringiovanire il mio corpo ventenne!... Io ritorno, d’un passo sempre più infantile, verso la mia culla.... Presto, rientrerò nel ventre di mia madre!... Tutto, dunque, mi è lecito!... Voglio preziosi gingilli da rompere.... città da schiacciare, formicai umani da sconvolgere!... Voglio addomesticare i Venti e tenerli a guinzaglio.... Voglio una muta di venti, fluidi levrieri, per dar la caccia ai cirri flosci e barbuti.

La respirazione dei miei fratelli dormenti fingeva