Pagina:Manzoni - La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, Milano, 1889.djvu/33


introduzione 13

dire, e poi con la sola forza del nome e della presenza, come a prova della spontaneità dell’assenso; e, principalmente dove pesava a piombo, o premeva più da vicino, il dominio straniero, un popolo che, anche inerme, sbrancato, spiato, trovava il modo di manifestar l’animo suo col tenersi segregato dai dominatori, col non ubbidir che alla forza, col sottrarsi alle loro carezze, con quel contegno, insomma, atto a render più sensibile e ai cittadini la loro unanimità, e ai poteri ingiusti quella solitudine, che li mette tra la violenza e lo scoraggimento: due pericoli del pari.

Dall’altra parte, un potente sovrano straniero, che, lasciandosi dietro le spalle la politica di coloro che, non avendo ancora finito di ridere de’ vecchi realisti francesi, ai quali era parso un assunto facile e piano quello d’impedire ogni cambiamento nell’antico regime della Francia, volevano poi che la Francia de’ tempi novi prendesse l’assunto, altrettanto agevole, d’opporsi (giacché estranea non poteva rimanere) alle tendenze de’ popoli a comporre in forti e naturali unità le loro parti sparse. Alieno ugualmente e da una tale ardua prepotenza, e dall’apprensione pusillanime, che la Francia, col suo vasto territorio, con la sua ferrea unità, con la sua bellicosa popolazione, non potesse viver sicura di sé medesima, se non col tenere altri nell’impotenza e nell’abiezione, comprese che sarebbe provvedere al bene della Francia stessa, come era suo primo e sacro dovere, il dar mano a chiudere alle Potenze europee questo infelice campo di bat-