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carme autobiografico. 81

aveva l’incarico di accompagnare in chiesa il giovinetto, e di fargli dare lezioni di musica e di danza, forse pure di scherma. Come spiegarsi altrimenti che l’Imbonati fosse così poco noto al figlio di colei, per la quale egli era tutto, e che, invece di parlare al Manzoni, egli si risolvesse a scrivergli?

Un giorno qualche altra lettera inedita ci darà forse la chiave di questo enigma biografico; intanto proseguiamo la nostra lettura:

Io sentìa le tue lodi; e qual tu fosti
     Di retto, acuto senno, d’incolpato
     Costume e d’alte voglie, ugual, sincero,
     Non vantator di probità, ma probo,
     Com’oggi, al mondo, al par di te nessuno
     Gusti il sapor del beneficio, e senta
     Dolor dell’altrui danno. Egli ascoltava
     Con volto nè superbo, nè modesto.
     Io, rincorato, proseguìa: se cura,
     Se pensier di qua giù vince l’avello,
     Certo so ben che il duol t’aggiugne e il pianto


    cocialle spalle lo zio monsignore; e la zia svelta a regalargli, come si dice, una buona cavatina, cambiando discorso con tale disinvoltura, da fare invidia al comico più provetto. — Dove mai aveva la zia appreso una tattica così sorprendente? Ma!... La cosa aveva fatto un gran senso al giovinetto, e gli avrà dato certamente da pensare. Talvolta certamente nella conversazione il discorso cadeva sulla soppressione, con tutti quei pro e contro che udiamo anche noi a’ nostri giorni. La zia a questo proposito non si lasciava mai cogliere nelle spire di un ragionamento qualsiasi. Con quel suo fare spigliato e disinvolto saltava a piè pari alla conclusione.— Io per me — diceva — sono del parere di Giuseppe II. Aria! Aria! — soggiungeva, trinciando nell’aria di gran cerchi colla mano destra, quasi avesse voluto farsi largo, e sgombrarsi dattorno quel non so che, da cui aveva impedito per tant’anni il respiro.»