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il manzoni e la critica. 287

meno potenti e meno funeste, col riconoscerle ne’ loro effetti e detestarle.» Si meraviglia il Manzoni e si duole e s’arrabbia ad una volta che, per un secolo e mezzo, non pur dal volgo, ma da uomini dotti ed onesti siasi non pur creduto agli Untori, ma diffusa per gli scritti l’opinione che gli Untori esistessero, e che fosse carità e giustizia il perseguitarli. «Se non che (osserva il Manzoni) anche quella indegnazione alla rovescia, anche il dispiacere che si deve provare nel riconoscerla, porta con sè il suo vantaggio, accrescendo l’avversione e la diffidenza per quell’usanza antica e non mai abbastanza screditata di ripetere senza esaminare, e se ci si lascia passar quest’espressione, di mescere al pubblico il suo vino medesimo, alle volte quello che gli ha già dato alla testa.»

I processi erano condotti con la ferma intenzione di trovare materia di condanna, e di provare ad ogni costo la reità dell’accusato. A proposito del Mora, il quale sotto la tortura si confessa reo, il Manzoni osserva: «Così eran riusciti a far confermare al Mora le congetture del birro, come al Piazza le immaginazioni della donnicciola; ma in questo secondo caso con una tortura illegale come nel primo con un’illegale impunità. L’armi eran prese dall’arsenale della giurisprudenza; ma i colpi eran dati ad arbitrio e a tradimento.» Il Manzoni mirava evidentemente a colpire con queste parole la pretesa legalità dei processi politici austriaci, ai quali premeva provare la reità degli accusati; sopra questi processi si dovea poi scrivere la storia. Ora noi vediamo quale opinione avesse il Manzoni degli storici ufficiali, quando leggia-