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i promessi sposi. 271

tra sè «E cosa v’importa a voi altri? E chi v’ha detto d’aspettare? Son mai venuto io a parlarvene? a dirvi che la fosse bella? E quando me lo dicevate voi altri, v’ho mai risposto altro, se non che era una buona giovine? È una contadina! V’ho detto mai che v’avrei menato qui una principessa? Non vi piace? non la guardate. N’avete delle belle donne? guardate quelle.» E vedete un poco come alle volte una corbelleria basta a decidere dello stato di un uomo per tutta la vita. Se Renzo avesse dovuto passar la sua in quel paese, secondo il suo primo disegno, sarebbe stata una vita poco allegra. A forza d’esser disgustato, era ormai diventato disgustoso. Era sgarbato con tutti, perchè ognuno poteva essere uno de’ critici di Lucia. Non già che trattasse proprio contro il Galateo; ma sapete quante belle cose si possono fare senza offender le regole della buona creanza; fino sbudellarsi. Aveva un non so che di sardonico in ogni sua parola; in tutto trovava anche lui da criticare, a segno che, se faceva cattivo tempo due giorni di seguito diceva: «Eh già, in questo paese!»1 Vi dico che non eran pochi quelli che l’avevan già preso a noia, e anche persone che prima gli volevan bene; e col tempo, d’una cosa nell’altra, si sarebbe trovato, per dir così, in guerra con quasi tutta la popolazione,

  1. Si confronti quello che fin da giovine il Manzoni scriveva da Parigi a’ suoi amici lombardi, e ciò che la moglie scriveva di lui nel 1820 al Tosi. Probabilmente il Manzoni avrà parecchie volte prima della pubblicazione de’ Promessi Sposi lamentata la indifferenza, la malignità italiana, la quale doveva rincrescergli tanto più dopo essere stato ammirato dal Fauriel e dal Goethe.