sue parole; e per gustare molte espressioni, molti tratti, e lo spirito dominante dell’opera, bisognerebbe aver conosciuto l’Autore, dappresso. Si conosce più il libro dall’Autore, che non l’Autore dal libro.» A malgrado del bisticcio, si capisce quello che il Tommaseo voleva dire; egli era stato in casa Manzoni, avea letto in casa sua i Promessi Sposi prima che si pubblicassero, ed era di quelli che potevano legger molto fra le linee. L’articolo che il Tommaseo amico osò stampare in Firenze, quando il Manzoni si trovava con la sua famiglia festeggiato, ammirato, invidiato forse anco, non è punto simpatico, e ci lascia facilmente supporre quali altri giudizii il Tommaseo dovesse permettersi contro il romanzo nei privati discorsi, prima che si pubblicasse. Quelle censure anticipate, per la maggior parte ingiuste e piene di sofisticherie, irritarono, senza dubbio, il Manzoni, al quale vennero riportate; perciò, nell’ultimo foglio del suo romanzo, poco prima di mandarlo in giro, egli volle inserire una sua pagina tutta significativa: il lettore di romanzi che arriva al fine de’ Promessi Sposi ed intende che quella Lucia e quel Renzo, ai quali o poco o molto s’è affezionato, vanno a finire in un paese, dove non sono poi bene accolti, ha un po’ ragione di mettersi di malumore contro l’Autore, che non seppe immaginare alcun’altra miglior conclusione; ma, se il lettore di romanzi è persona intelligente, la quale più de’ casi straordinarii di un eroe o di un’eroina sappia ammirar l’arte, con la quale l’Autore crea, egli passerà invece, tosto, dal breve malumore ad una viva e durevole ammirazione. Dopo il cenno che ho qui fatto