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260 i promessi sposi.

tire con tanta tenerezza il dolore di chi si stacca dalla patria. Ma talora i sentimenti dell’Autore che si mettono fra quelli de’ suoi personaggi appaiono soverchianti e guastano una parte dell’effetto artistico.

Chi è rimasto veramente commosso, per un esempio, dall’addio di Lucia, desidera rimanere in quella commozione, e non vorrebbe accogliere nell’animo alcun sentimento diverso da quello. Ma il Manzoni vuole ad ogni costo che prevalga ne’ dolori umani il sentimento della rassegnazione cattolica; quindi, senza pure accorgersi che la commettitura o la toppa cattolica riesce troppo evidente, non badando ad alcuna regola di transizione, dopo l’ultimo addio di Lucia, soggiunge senz’altro: «Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande.» Per arrivare a un tal sentimento, Lucia avea bisogno di un po’ di preparazione; e il Manzoni, da quel profondo psicologo che era, lo dovea sentire meglio d’ogni altro. Ma è assai possibile che nella prima composizione del romanzo quella pia appendice non esistesse, e che per solo suggerimento di alcuno dei suoi revisori egli l’abbia introdotta nel secondo manoscritto o sulle prove di stampa. Sappiamo invero che il Manzoni avendo incominciato il romanzo il 24 aprile dell’anno 1821, cioè appena fallita la rivoluzione piemontese, e dopo i primi arresti de’ patriotti lombardi, lo avea terminato nel 1823, e precisamente il 17 settembre. Il Grossi ch’era con lui a Brusuglio dovette essere il primo a leggerlo, in camera charitatis; ma il Grossi, l’amico e collaboratore di Carlo