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254 i promessi sposi.

bondio;1 ma per formarne quel tipo che riuscì, occorreva il concorso di un genio, e la conoscenza de’ materiali, dei quali il Manzoni si servì, giova soltanto a mostrare che i grandi poeti son quasi come Domeneddio, poichè, con l’attenuazione di un quasi, creano anch’essi opere divine, ex nihilo.

Storico è pur troppo il personaggio della Geltrude, la Monaca di Monza; ma quando il Manzoni ne lesse la storia, per tornare a colorirla potentemente gli giovò il ricordarsi la zia ex-monaca, già da me ricordata, la quale ebbe cura ch’egli imparasse la musica, il ballo, forse pure la scherma, su per giù come quel Lodovico, a cui il padre fece dare un’educazione «secondo la condizione de’ tempi e per quanto gli era concesso dalle leggi e dalle consuetudini; gli diede maestri di lettere ed esercizii cavallereschi, e morì, lasciandolo ricco e giovinetto.»

Ma, senza i frequenti richiami de’ tipi manzoniani

  1. Forse vi è pure qualche cosa delle idee di quel parroco conosciuto dal Manzoni, nel battibecco fra Agnese e Don Abbondio sul titolo da darsi al cardinal Federigo «illustrissimo» o «monsignore» o «eminenza,» ove Don Abbondio prova che il Papa ha decretato che i Cardinali si chiamino eminenze, perchè troppi si appropriarono il titolo d’illustrissimi. Un giorno, è vero, si chiameranno tutti eminenze, gli abati, i proposti, ma intanto per un po’ di tempo, perchè gli uomini son fatti così, sempre voglion salire, sempre salire, i soli curati a tirar la carretta, e a pigliarsi del reverendo fino alla fine del mondo. Piuttosto, non mi meraviglierei punto che i cavalieri, i quali sono avvezzi a sentirsi dar dell’illustrissimo, a esser trattati come i Cardinali, un giorno volessero dell’eminenza anche loro. E se lo vogliono, vedete, troveranno chi gliene darà. E allora il Papa che ci sarà allora, troverà qualche altra cosa per i cardinali.»