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i promessi sposi. | 253 |
tita, e una volontà opposta, abitualmente vittoriosa, sempre all’erta, e diretta da motivi e da ispirazioni superiori. Un suo confratello ed amico, che lo conosceva bene, l’aveva una volta paragonato a quelle parole troppo espressive nella loro forma naturale, che alcuni anche ben educati pronunziano, quando la passione trabocca, smozzicate con qualche lettera mutata: parole che in quel travisamento fanno però ricordare della loro energia primitiva.»
Il professore Stoppani dice aver conosciuto da fanciullo il parroco, che dovette servire al Manzoni come tipo del suo Don Abbondio. Il Manzoni era ancora giovinetto, quando conobbe quel curato, il quale gli raccontava in qual modo avesse preso gli ordini: «Quando mi presentai all’esame, l’esaminatore mi domandò se i parroci erano d’istituzione umana o divina. Io sapeva benissimo che loro volevano si rispondesse che erano d’istituzione umana, e, furbo, risposi tosto: d’istituzione umana, d’istituzione umana!» Il giovine Manzoni si permise domandargli se fosse quello il suo convincimento; il parroco ripose: «Oh! giusto! a me avevano insegnato ben diversamente a Pavia. Ma se avessi risposto come la pensava io, non mi lasciavano dir Messa.» Il Manzoni voleva fare qualche obbiezione; ma il curato troncò il discorso con questa sentenza: «Quando i superiori domandano, bisogna saper rispondere a seconda del come la pensano loro.» Questo aneddoto è autentico; il Manzoni stesso lo fece conoscere a’ suoi amici, e dalla bocca di questi lo Stoppani lo raccolse. È evidente la rassomiglianza di questo curato con Don Ab-