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240 | i promessi sposi. |
più forte la pietà; e con questi affetti, chi sa quanto ci potesse essere o non essere quell’altro che dietro ad essi s’introduce così facilmente negli animi; figuriamoci cosa farà in quelli, donde si tratti di scacciarlo per forza. Sia come si sia, il discorso per la parte di Lucia non sarebbe mai andato molo in lungo; chè le parole finivan presto in pianto.»
Io mi potrei facilmente ingannare; ma queste parole che mi parrebbero troppe se fossero dette per ispiegare i sentimenti d’una rozza contadina lombarda, hanno tutto il loro senso se Lucia deve in questo caso nascondere un’altra persona che ci sta a cuore assai più, la quale poteva benissimo trovar qualche piccola imperfezione nel Manzoni, reale e vicino, salvo a sognarlo come un ideale, quand’egli stava lontano, quando lo sapeva perseguitato ed in pericolo, quando, peggiore di tutte le malvagità umane, essa sentiva che la calunnia voleva indegnamente colpirlo. Renzo è compromesso anch’esso quasi involontariamente come il Manzoni ne’ casi politici di Milano; e se non ci fosse stato per l’Autore il proposito di mettersi un poco in iscena, ma di farsi povero contadino, per lasciarsi scorgere meno, avrebbero avuto ragione que’ primi critici de’ Promessi Sposi, quando biasimavano l’Autore d’aver fatto andare Renzo a Milano solamente per avere un’occasione di fare nuovo sfoggio d’ingegno nelle descrizioni del tumulto, della fame e della pèste di Milano. E qui prevedo un’obbiezione: non ci diceste che il Manzoni ha forse voluto rappresentare nella conversione dell’Innominato la propria? Ora se egli è l’Innominato, come potrebbe