Sposi, i quali sono tutte queste cose insieme, ora molto, ora poco, ed entrano nella condizione privilegiata, e disperante, più che disperata, di tutti i grandi capolavori letterarii, che non si lasciano classificare in verun genere, perchè hanno essi stessi creato un genere nuovo, di cui, per lo più, non essendo l’originalità cosa molto imitabile, rimangono poi soli rappresentanti. Ciò che nella Divina Commedia attrae più non è il suo soggetto, ma la maniera con cui l’Autore lo pensa, lo sente e lo tratta; il medesimo si può ripetere de’ Promessi Sposi: nel primo, cerchiamo la poesia di Dante, l’anima e la mente di Dante; nel secondo; la poesia del Manzoni, l’anima e la mente del Manzoni, e il modo con cui il reale e l’ideale gli appaiono. Chi legge i Promessi Sposi come un libro ordinario, non può gustarli se non mediocremente; chi vi cerca tutto ciò che l’Autore ha voluto mettervi, non può mancare di trovarvelo, e di ammirare, senza fine, l’Autore che, con mezzi quasi umili, seppe ottenere effetti massimi. Sì, Renzo e Lucia sono povera e zotica gente, e se il Manzoni ce li figurasse soltanto come tale, senz’altre sue malizie, comprenderemmo poco i motivi che spinsero un così alto ingegno a raccogliersi tutto negli anni più vigorosi e potenti della sua vita sopra una materia così scarsa d’inspirazione. Ma il Manzoni ha voluto appunto l’opposto di quello che si vuole generalmente, non inalzare sè sopra un soggetto nobile, ma inalzare e nobilitare un soggetto quasi ignobile, col versarvi dentro la miglior parte di sè. Egli adopera i suoi poveri contadini con quella stessa malizia, con la quale