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234 | i promessi sposi. |
fra grandi e popolo, aggruppando intorno a questa lotta alcune gravi questioni sociali, come quella del caro dei viveri, della salute pubblica, della legislazione penale, dell’amministrazione delle Opere Pie, de’ mali che reca con sè la guerra, del clero, de’ conventi, ed altre più, ciascuna delle quali potrebbe dar materia, anco più che a nuovi libri, a nuove ed opportunissime leggi, che, quando fossero veramente buone ed osservate, varrebbero meglio di qualsiasi libro pure ottimo, poichè la più difficile di tutte le traduzioni umane è quella delle idee nei fatti, della teoria nella pratica, della sapienza intellettuale in tanta eccellenza di virtù operativa. Il Romanzo manzoniano di per sè, come invenzione di casi, dice poco; di grandi e forti passioni non vi è quasi traccia; il lettore non rimane stordito e sorpreso da alcuna grande novità; ma è singolare, che in questo solo romanzo si cerchi meno quello che piace di più negli altri, l’elemento romanzesco, e molto più singolare che, privandosi quasi di questo elemento che pare così necessario negli altri romanzi, l’Autore de’ Promessi Sposi trovi fuori di esso tanta materia di lettura viva ed attraente.
Egli trattò il romanzo come l’Autore comico la commedia; vi rappresentò la società nella sua vita solita ed ordinaria, per mostrare che questa vita stessa è una commedia che si rinnova di secolo in secolo, eternamente. L’ingegno satirico che tentava naturalmente il Manzoni giovinetto, gli giovò mirabilmente nella commedia, o nel dramma, o nel poema, o nel romanzo che si voglia chiamare, de’ Promessi