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i promessi sposi. | 233 |
fortezza e di carità, di premura operosa per gli altri, di sacrifizio illimitato di sè. Ma pensando che quello cose erano dette da uno che poi le faceva (il Manzoni alludeva, senza dubbio, a monsignor Tosi), tiriamo avanti con coraggio.»
Ciò che nel libro del Manzoni piace è il Manzoni stesso. Inconsapevolmente que’ passi, ove egli entra, più o meno dissimulato, in iscena, ove passano i suoi pensieri, le sue impressioni, ci attirano e ci seducono piacevolmente; con quanto maggior diletto li rileggeremo noi dunque ora sapendo che egli, come il Goethe, si è diviso un poco fra tutti i suoi personaggi! Il forestiero ha cercato tutta l’attrattiva del Romanzo manzoniano nella semplice storia dei due fidanzati; ed ha ragione di conchiudere che l’attrattiva è piccola, che il libro si distende troppo a raccontarla; ha ragione ancora s’egli sente qualche po’ di dispetto contro l’Autore, il quale, invece di farlo correre speditamente verso lo scioglimento, lo interrompe con descrizioni infinite, e con la citazione di documenti legali poco intelligibili. Se Aristotile avesse dato le regole del romanzo storico, è probabile che il Romanzo manzoniano si troverebbe scritto contro tutte le regole; vi mancano le giuste proporzioni: vi manca pure quel crescendo d’attrattiva che si vuol trovare in quasi tutti i romanzi; l’azione principale è poco importante, od almeno pare di piccola importanza, considerata in sè e non negl’intendimenti sociali dell’Autore, il quale, per mezzo d’un caso minuto e specialissimo, volle rappresentare l’eterna lotta fra oppressori ed oppressi, fra padroni e servi,