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228 i promessi sposi.

prosa non fu superato fin qui da alcuno, ma emulato dal solo Manzoni, il quale partecipava senza dubbio in proposito dell’opinione di Don Ferrante. Qual merito maggiore per uno scrittore che la sua virtù non solo di dir molto in poco, ma di dire facilmente le cose difficili, l’arte di far diventare universali le idee più elevate ed originali? E bene questa virtù, quest’arte il Manzoni possedette, come autore de’ Promessi Sposi, in grado supremo e singolarissimo. Sotto questo aspetto, la sua prosa è la più democratica che sia stata scritta in Italia.

Ma il Manzoni dovette ben presto accorgersi che, ov’egli avesse fatto l’Innominato il centro di tutto il suo poema o romanzo, oltre allo scoprir troppo sè medesimo, non avrebbe mancato di dare al suo romanzo un’aria reazionaria che veramente non ha e che ingiustamente gli fu attribuita dal Settembrini.

Chè se nell'Innominato che potremmo chiamare della prima maniera, come già nel Carmagnola, vi è

    strada, e, per conseguenza, butta via i suoi passi; come la politica senza la storia è uno che cammina senza guida.»
      L’Autore entra spesso in iscena anche come attore. Così dopo aver fatto una descrizione, forse un po’ troppo minuta della biblioteca di Don Ferrante, soggiunge: «Noi cominciamo a dubitare se veramente il lettore abbia una gran voglia di andar avanti con lui in questa rassegna, anzi a temere di non aver già buscato il titolo di copiator servile per noi, e quello di seccatore da dividersi con l’anonimo sullodato, per averlo bonariamente seguito fin qui, in cosa estranea al racconto principale, e nella quale probabilmente non s’è tanto disteso, che per isfoggiar dottrina, e far vedere che non era indietro del suo secolo. Però lasciando scritto quel che è scritto per non perder la nostra fatica, ometteremo il rimanente, per rimetterci in istrada.»