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le strofe del marzo 1821. il cinque maggio. 205

che ne’ giorni più desolati come un uomo che spera. Sentì e si persuase che egli non era fatto per cospirare, che la parte anche piccolissima da lui, quantunque inettissimo, presa alla congiura del Confalonieri non era adatta al suo temperamento; ma sentì che come scrittore, col permesso della Censura, la quale non avrebbe capito ogni cosa e approvato molte cose che non capiva, egli avrebbe ancora potuto fare un gran bene. Egli mostravasi ossequente alla censura; ne accettava tutti i tagli, bene persuaso che ciò che sarebbe rimasto sarebbe bastato a far penetrare il suo pensiero. Così sappiamo ora che la Censura austriaca fece parecchi tagli nell’Adelchi. Il Manzoni, specialmente quando egli scriveva il Discorso storico, ne’ Longobardi raffigurava non già i Lombardi, ma la stirpe germanica, i Tedeschi, gli Austriaci. Il Giannone avea scritto che la signoria de’ Longobardi doveva ormai risguardarsi come una signoria nazionale, perchè dominante in Italia da oltre due secoli; il Manzoni, in quegli anni, ne’ quali la Grecia si agitava per la sua guerra d’indipendenza, demandava semplicemente se non fossero pure stranieri i Turchi in Grecia, benchè vi dominassero da tre secoli. La Censura soppresse quel brano. Quattro altri bei versi, ne’ quali il giovine Adelchi, supplicando il padre a far la pace con papa Adriano, parlava dell’attitudine degli oppressi Latini, ossia degli oppressi Italiani:

Di questa plebe che divisa in branchi,
     Numerata col brando, al suol ricurva,
     Ancor dopo tre secoli, siccome
     Il primo dì, tace, ricorda o spera,