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il manzoni poeta drammatico. 155

d’introdursi nell’azione, e di prestare ai personaggi i suoi proprii sentimenti, difetto dei più noti negli scrittori drammatici.» Ma, quando leggiamo uno scrittore come il Manzoni, dobbiamo guardar sempre al senso preciso che vogliono aver le parole; egli non dice già che i Cori toglieranno, ma solamente che essi diminuiranno all’autore la tentazione di mettersi in iscena. Approfittiamo dunque di questa mezza negazione, che implica necessariamente una mezza affermazione. In una bella lettera che il Manzoni scrisse nel febbraio dell’anno 1820 al suo amico abate Gaetano Giudici di Milano, rimasta fino ad oggi inedita, trovo, fra le altre, queste parole: «Io aveva sentito che le circostanze e le azioni del Carmagnola non erano in proporzione coll’animo suo e coi suoi disegni; ma questa dissonanza appunto è quella che io ho voluto rappresentare. Un uomo di animo forte ed elevato e desideroso di grandi imprese, che si dibatte colla debolezza e colla perfidia de’ suoi tempi, e con istituzioni misere, improvvide, irragionevoli, ma astute e già fortificate dall’abitudine e dal rispetto, e dagl’interessi di quelli che hanno iniziativa della forza, è egli un personaggio drammatico?»1 Quest’uomo potrebbe essere così

  1. Poichè il professor Giovanni Rizzi, dalla cortesia del quale io l’ho ricevuta, mi permette di valermene, io me ne valgo nel solo modo che mi sembri conveniente, cioè stampandola tutta:
    »Parigi, 7 febbraio 1820.

    Cariss. e Pregiat. Amico,

      Sarei impacciato a ringraziarvi degnamente non solo dell’amabile pensiero che avete avuto di scrivermi, ma anche della pazienza che avete posta a regolare la vostra penna in modo che