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l’urania — l’idillio manzoniano. 119

primo, con una epistola in versi, della quale il Sainte-Beuve ci ha fatto conoscere un frammento. Alla Vergine ideale del Danese egli opponeva nell’epistola e nel

    i di lei zii Mariton in una lor villa, nelle vicinanze di Bergamo. Ad ogni modo non sarebbe questo Carme, secondo lui, quel lavoro, a cui allude il Sainte-Beuve, che il Manzoni sembrava promettersi di fare in italiano, perchè un poemetto sul gusto di quello di Bággesen il Manzoni diceva di averlo fatto realmente in ottava rima, e alcune stanze le recitava, anche in questi ultimi anni, a chi l’accompagnava nella passeggiata. Sfortunatamente questo poemetto non si trovò fra i suoi scritti, e pare indubitato che egli l’abbia consegnato alle fiamme. La stessa Vergine ci descrive finalmente il Poeta in un’Ode giovanile, della quale citerò le strofe più espressive. Il Poeta, ancora irretito nelle immagini mitologiche, ci assicura che la sua fanciulla gli apparve la prima volta in forma somigliante a quella della dea Cinzia. Crediamogli sulla parola, e compiacciamoci ora nel veder partitamente descritte le qualità esteriori della sedicenne sposa sperata dal Manzoni, la quale dovea poi aver tanta parte, per quanto destramente dissimulata, nell’arte sua:


           Tal prima agli occhi miei,
                Non ancor dotti d’amorose lagrime,
                Appariva costei,
                Vincendo di splendor l’emule vergini
                Per mover d’occhi dolcemente grave
                E per voce soave.
           Dagl’innocenti sguardi,
                Che ancor lor possa e gli altrui danni ignorano,
                Escono accesi dardi;
                Non certi men, nè di più lieve incendio,
                Se dal fronte scendendo il crine avaro
                Lor fa lene riparo;
           Oh qual tutta di nuove
                Fatali grazie ride allor che l’invido
                Crin col dito rimove:
                E doppio appresta di beltà spettacolo
                Sul fronte schietto, trascorrendo líeve
                Con la destra di neve.
           Nè tacerò la bella
                Bocca gentil, fonte di riso ingenuo
                E di cara favella;