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l’urania — l’idillio manzoniano. 113

Da lor sol vien se cosa in fra i mortali
È di gentile, e sol qua giù quel canto
Vivrà che lingua dal pensier profondo
Con la fortuna delle Grazie attinga.
Queste implora coi voti, ed al perdono
Facili or piega. E la rapita lode
Più non ti dolga. A giovin quercia accanto
Talor felce orgogliosa il suolo usurpa;
E cresce in selva, e il gentil ramo eccede
Col breve onor delle digiune frondi:
Ed ecco il verno le dissipa; e intanto
Tacitamente il solitario arbusto
Gran parte abbranca di terreno, e mille
Rami nutrendo nel felice tronco
Al grato pellegrin l’ombra prepara.
Signor così degl’inni eterni, un giorno,
Solo in Olimpia regnerai: compagna
Questa lira al tuo canto, a te sovente
Il tuo destino e l’amor mio rimembri.


Qui il Manzoni sembra certamente voler fare qualche allusione personale. È evidente ch’egli lascia rivolger la parola a Pindaro, perchè gli parrebbe cosa troppo vana ed orgogliosa obbligar le Muse a discendere dall’Olimpo per lui e augurargli di regnar solo in Olimpia. Se così è, noi dobbiamo riconoscere in questa giovine quercia olimpica, che un giorno regnerà sola, il Manzoni stesso, e domandargli chi possa nascondersi sotto la felce orgogliosa che ingombra intanto la via alla giovine quercia, ma che, in pena della sua temerità, vivrà un anno solo. Gl’indizii precisi od anco probabili ci mancano per arrischiarci a qualsiasi congettura. Osservo, invece, come una potente ragione segreta dovette determinare il Manzoni a compiere la sua prima formola poetica sentir e meditare, con