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i versi da Lei pensati col cuore, in nome del milite Italiano che prepara sè e i suoi fratelli al combattere. Non pochi versi dedicarono nella lingua loro gl’Italiani alla Grecia: ma Ella ne rende un pellegrino ricambio componendo, uomo greco, versi italiani in onore d’Italia. Mi lasci dire, ancorchè non sia questo il tempo d’osservazioni letterarie, che nel suo metro di decasillabi con tre rime alterne conchiusi da due tronchi rimati insieme per modo da formare una specie d’ottava, io riconosco l’allievo di Dionigi Solomos, di quel felice cultore e intenditore argutissimo dell’eleganza e de’ numeri italiani. Vogliano così gli scrittori d’Italia conoscere la favella del popolo Greco vivente, come parecchi Greci illustri l’italiana studiarono e scrissero: e questo, io credo, sarà se i Greci stessi seguiteranno l’esempio del Solomos già seguitato da Lei, useranno cioè la favella vivente, interprete accomodata d’ogni alta idea e d’ogni sentimento gentile a chi veramente nutrisca sentimenti gentili e alte idee. Ma il suo far parlare un milite Italiano, non è già finzione poetica, cioè esercitazione di scuola o scherzo d’accademia: quel milite, quell’Italiano, è Lei stesso. Dopo offerto a Venezia il suo braccio, e rimastoci insino alla fine al pericolo e al patimento Ella riviene oggi di più lontano e con difficoltà più gravi da vincere all’onorato pericolo: e se allora lasciava Corfù, sua Patria, per l’antica signora dell’Adriatico e dell’Jonio, ora a Atene dico addio per Firenze, l’Atene dell’Europa novella. E poichè, a quel che sento, Ella intende coronare il suo sagrificio accettando un grado minore di quel che Venezia le assegnò, io non posso credere che, per quanto sia concorso costì di chiedenti, Ella