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236 | conc. gen. dell’equil. econ. | [§ 227-228] |
mente neppure il Walras, il quale, appunto col darci le condizioni dell’equilibrio in un caso particolare, contribuì a mostrare l’errore di quell’opinione. Egli esprime due concetti contradditori. Da una parte ci dice che «tutte le incognite del problema economico dipendono da tutte le equazioni dell’equilibrio economico», ed è buona teoria; da un’altra parte afferma «essere certo che la rareté (ofelimità) è la cagione del valore di cambio», ed è riminiscenza di passate teorie che non corrispondono alla realtà1.
Tali mende sono scusabili, anzi naturali, in quel tempo in cui si passa da teorie errate a teorie nuove e migliori; ma non si potrebbero scusare ora che queste teorie sono state instituite ed hanno progredito.
228. In sostanza le teorie che pongono soltanto in relazione il valore (prezzo) col grado finale di utilità (ofelimità) non sono di gran momento per l’economia politica. Le teorie che più giovano sono
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- ↑ Elèments d’economie politique pure, Lausanne, 1900: «Théoriquement, toutes les inconnues du problème économique dépendent de toutes les équations de l’équilibre économique»; p. 289. «Il est certain que la rareté est la cause de le valeur d’échange»; p. 102.
È probabile che il Walras si sia lasciato prendere all’esca delle notazioni accessorie del termine rareté. Nelle sue formole, come egli stesso concede, la rareté è il Grenznutzen dei tedeschi, il final degree of utility degli inglesi, ossia la nostra ofelimità elementare; ma nel testo qua e là, vi si aggiunge in modo non ben preciso il concetto dell’essere la merce scarsa pei bisogni, degli ostacoli da superare per ottenerla. Per tal modo vi è un lontano ed oscuro concetto degli ostacoli, e diventa minore l’errore della proposizione che la «rareté è la cagione del valore di cambio».