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[§ 31-34] | conc. gen. dell’equil. econ. | 155 |
poco a poco per avvicinarsi ognora più al vero; alle teorie si fanno continui ritocchi, si ammettono certe proposizioni imperfette e si va avanti nello studio della scienza, poi si torna indietro e si rettificano quelle proposizioni. Non è che ai nostri tempi che si è tornato ad esaminare il postulato di Euclide. Che sarebbe stato della geometria, se gli antichi si fossero fermati, cocciuti ed ostinati, a quel postulato ed avessero assolutamente trascurato di andare avanti nello studio della scienza? C’è una bella differenza tra le teorie astronomiche del Newton, quelle del Laplace, e altre più moderne; ma le prime erano gradino necessario per salire alle seconde, le seconde per salire alle terze. Le teorie dell’antica economia erano necessarie per accedere alle nuove; e queste, sempre molto imperfette, serviranno a giungere ad altre, che lo saranno meno; e così via di seguito. Ma perfezionare una teoria è cosa ben diversa che il volerla distruggere con insulse o pedanti sottigliezze; la prima è opera assennata e utile, la seconda è sciocca e vana; e chi non ha tempo da sprecare fa meglio a non curarsene.
32. L’ofelimità, per un uomo, di una certa quantità di una cosa, aggiunta ad altra quantità determinata (che può anche essere zero) di quella cosa da lui già posseduta, è il piacere che a lui procura quella certa quantità.
33. Se quella quantità è piccolissima (infinitamente piccola) e si divide il piacere che procura per la quantità stessa, si ha l’ofelimità elementare.
34. Infine, se l’ofelimità elementare si divide pel prezzo, si ha l’ofelimità elementare ponderata.