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388 | SECOLO XVIII. |
diamoci di avere due patrie, cioè, come dicea al proposito nostro Cicerone, unam naturae, alteram juris. Quella di natura è il luogo A B C dove siamo nati; e quella di diritto è l’Italia, in cui tutti siamo constituiti membri d’una nazione, che conta sino a quindici milioni di cittadini. Il Creatore del tutto nel sistema planetario sembra che abbia voluto darci un’idea anche del sistema politico in cui siamo posti. Nel foco delle grandi elissi dei pianeti sta il sole. I detti corpi opachi, che ricevono il lume da esso, vi si aggirano intorno nel tempo medesimo che sopra i proprj assi eseguiscono le loro rivoluzioni. Una forza, che gli spinge per linea diritta contro un’altra che al medesimo sole gli attrae, fa che un moto terzo ne nasca; onde proporzionatamente alle reciproche loro distanze mantengono intorno al centro comune il loro giro. Alcuni di questi globi intorno di sè hanno de’ globi più piccoli, che con le medesime leggi si muovono; ed alcuni altri sono soli e isolati. Trasportiamo questo sistema alla nostra politica nazionale. Grandi o picciole che siano le città, abbiano le particolari leggi nelle rivoluzioni sopra i proprj assi, siano fedeli al loro naturale Sovrano, ed abbiano più o meno di corpi subalterni: ma, benchè divise in dominj diversi, formino per i progressi almeno delle arti e delle scienze un solo sistema; e l’amore di patriottismo, vale a dire del bene della gloria nazionale, sia quel sole che le illumini e che le attragga in concorrenza di quella forza di dissoluzione, che sin ad ora con sommo lor detrimento le ha spinte per linea retta, col falso supposto di ritrovare fuori del centro di riunione un bene, che non hanno incontrato mai e che non è ritrovabile. Amiamo dunque il buono nazionale ovunque ritrovisi; promoviamo il bene ed animiamolo ovunque si vegga o languente, sopito; e (lungi da riguardare con l’occhio dell’orgoglio e del disprezzo chiunque tenta di rischiarare le tenebre che l’ignoranza, la barbarie, l’inerzia, l’educazione hanno sparso fra di noi) sia nostro principale proposito l’incoraggirlo e premiarlo. Divenghiamo finalmente italiani, per non cessar d’essere uomini.
Detto questo, s’alzò improvvisamente l’incognito, ci salutò graziosamente e partì; lasciando in tutti noi un’ardente desiderio di trattenerci altre volte con esso lui, onde gustare con maggior agio le utili verità, delle quali s’è conosciuto altrettanto ricco, che liberale, allorchè si tratta di promuovere il bene a maggior gloria e vantaggio della nostra illanguidita e sonnacchiosa nazione. Dalle Opere di Gian Rinaldo Carli, tomo IX, Milano, MDCCLXXXV, pag. 369.)