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GIAN RINALDO CARLI. 387

me indicata dapprima; cioè che siamo tutti della medesima condizione, come della medesima patria. Sopravvenne, al termine di questo discorso, di nuovo Alcibiade; indotto forse dalla curiosità di conoscere l'incognito, o di sapere l’esito dalla nostra conversazione; e, stando in piedi ritto, con una spezie d’impazienza interruppe il discorso e disse: se le vostre massime fossero vere, non vi sarebbe più distinzione fra città e città, fra nobile e nobile; ed inutili ornamenti sarebbero i contrassegni d’onore, di decorazione, che emanano dalla podestà sovrana, come ricompensa del merito o come un tributo alla memoria degl’illustri antenati.

E che male ci sarebbe, soggiunse l’incognito, se ognuno si disingannasse su questo articolo di vanità e d’illusione? Una muraglia che chiuda e cinga trentamila case ha forse una qualche magica facoltà di fare, che gli uomini nati in una di queste debbano essere più distinti degli altri, che nacquero dentro un’altra cinta di mille; quando tanto nell’una che nell’altra il popolo sia della medesima origine e della medesima costituzione? Non nego però, che dati i pregiudizj che sforzano l’opinione e dati gli scismi che ci dividono, non dobbiamo distinguere le città che non sono ad altre leggi soggette che alle lor proprie; e, dopo queste, distinguere ancora le città di primo e di secondo rango; cioè quelle, che sono state ab antico partecipi della maggiore di tutte le nobiltà, vale a dire della romana; che nel tempo di mezzo ritornarono allo stato repubblicano, e che capitali sono presentemente di provincia o di considerabile territorio, da quelle altre, che origine hanno meno lontana: giacche la dignità e la gloria, tanto delle città che degli uomini, stanno riposte e registrate nelle storie e negli archivi pel merito de’ nostri antichi, più assai che di quello dei viventi. Ugualmente rispettabili sono i caratteri di distinzione che alcuni uomini per onore o per offizio portano sul torace, o come uno zodiaco attraverso della persona da una spalla diritta al lato sinistro o in contrario, o come una stella sulla parte sinistra del lor vestito; onde io venero, quanto un antico Egizio, come se nella superstiziosa Memfi mi ritrovassi, i simboli di alcuni quadrupedi, di alcuni volatili, e per sino dell’ultima stella della coda dell’orsa minore; non che delle intellettuali sostanze dell’empireo: ma non per questo io dirò mai, che un italiano sia qualche cosa di più o di meno d’un italiano. Lo diranno quelli soltanto a’ quali manca la facoltà di penetrare al di là del confine della superstizione e delle apparenze, e che pregiano una pancia dorata più che un capo ripieno di buon senso, o un uomo che per l’estensione delle cognizioni, per lo zelo, per l’onestà, per l’amore del bene pubblico, è utile e benemerito alla patria e al sovrano.

Innalziamoci pertanto una volta, e risvegliamoci per nostro bene, seguitò con energia a dire l’incognito; ricor-