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GIAN RINALDO CARLI. 385
gl’Italiani d’essere tutti di condizione fra di loro uniforme e d’essere in una parola tutti italiani?
Qui dolcemente interrogò un Callettante (più per piacere che la conversazione progredisse più oltre, che per vaghezza di opporsi) s’egli credesse, che, dopo tali tempi, gl’Italiani patito avessero sproporzionatamente nella lor condizione qualche politica alterazione; e, per cosi dire, un deliquio; onde variamente una città si alzasse sopra un’altra ad un certo grado di dignità e di grandezza? — Dopo tali tempi, il nostro incognito prontamente rispose, è noto ad ognuno cosa accadesse fra noi. La distanza degl’Imperadori, che non erano nazionali, la loro debolezza, l’ignoranza da una parte; l’intrigo, lo spirito di conquista, la sempre fatalmente incostante ed incerta fede in chi ha in mano la forza, e non conosce altra legge che il proprio interesse e la mal intesa vanità; diede occasione agi’ Italiani e somministrò i modi di risvegliarsi e di porre in moto i sopiti spiriti di libertà; e quindi, ciascheduna città, dal canto suo, tentò di scuotere il giogo, che non da diritto alcuno, ma dalla sola forza traea la sua origine e che era ormai divenuto insopportabile. Allora fu che, modificandosi in vario guise quell’originario e naturale trasporto di obbedire alle leggi e non all’altrui volontà capricciosa, alcune delle nostre città si eressero, o, per meglio dire, ritornarono a’proprj principj di Governo Repubblicano; ed alcune altre, sotto i capi ecclesiastici o secolari, esperienza fecero delle proprie forze contro il giogo straniero. Quindi alcuni cittadini, fatti potenti, delle proprie città divennero Sovrani e Padroni; mentre le altre nello stato di Repubblica si mantenevano. Si direbbe, che ove gli uomini erano resi più vili, o più molli, più corrotti, ivi si formò la sovranità; ed, al contrario, la Repubblica si mantenne, ove le leggi furono rispettate, ove una virtù di moderazione e di consistenza animò gli animi dei cittadini, ove al bene pubblico seppe ciascheduno sacrificare il privato bene e 'l particolare interesse. Felice l’Italia, se questo comune genio di libertà fosse stato diretto ad un solo fine, cioè all’universale bene dell’intera nazione! Ma i diversi partiti del Sacerdozio e dell’Imperio tale veleno negli animi de’ nostri antichi introdussero, che non solo città contro città, ma cittadino contro cittadino, e padre contro figlio si videro fatalmente dar mano all’armi. Allora alcune città, mercè l'industria e ’l commercio fatte ricche e potenti, della debolezza delle altre si approfittarono; nè la pace di Costanza altro produsse fuorché, fomentando la divisione, preparar a tutte le città indistintamente la lor rovina; per quella medesima via, per la quale credevano di evitarla.
Voi avete, disse uno de’ nostri, eccellentemente dipinto in miniatura con mano maestra le varie vicende d’Italia, onde farci comprendere quale è stata e quale è presenteIV. 25