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126 SECOLO XVIII.

Corso d’ore sì beate
16Quanto rapido fuggì!
     Dite almeno, amiche fronde,
Se il mio ben più rivedrò:
Ah! che l’eco mi risponde,
20E mi par che dica no.
     Sento un dolce mormorio:
Un sospir forse sarà;
Un sospir dell’idol mio,
24Che mi dice: tornerà.
     Ah! ch’è il suon del rio, che frange
Tra quei sassi il fresco umor,
E non mormora, ma piange
28Per pietà del mio dolor.
     Ma, se torna, vano, e tardo
Il ritorno, oh Dei!, sarà;
Chè pietoso il dolce sguardo
32Su ’l mio cener piangerà.


Autunno.

     Della noiosa estate
Finita è la stagion,
3E lunge dal leon se n’ vola il giorno.
     Non più del caldo sole
L’agricoltor si duole,
6E lieto mira il suol di grappi adorno.
     Le tigri pose al carro
Di Semele il figliuol,
9E scende col suo stuol dalla montagna:
     Seco è l’allegro Autunno,
E il vario Vertunno
12Co’ satiri, e silvani l’accompagna.
     Su ’l tardo suo giumento
Lo seguita Silen,
15E un satiro il sostien perchè non cada;
     E cento satiretti
Con fauni, e silvanetti
18Scherzano seco, e danzan per la strada.
     Vezzose ninfe belle,
Lieto il bel nume appar:
21Gitelo ad incontrar; per voi ritorna.
     Pane pur seco viene
Con l’incerate avene;
24E i grappoli gli pendon dalle corna.
     Ciascuna il suo cestello
Pien d’uve porterà
27Dove la corba sta, finch’ella è piena;
     Poi tutte a franca mano
Ammostino il silvano,