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Per tutto il giorno di ieri mi tormentò un solo pensiero, quello di trasformare il malumore in qualcosa di utile o di bello.
La natura ha fatto nascere l’ortica, e l’uomo ne ha cavato un tessuto sottile e soave con cui la bella indiana asciuga il sudor della fronte.
La natura ha dato un potente veleno ad una liana del tropico, e l’uomo ne ha cavato un rimedio per guarire il paralitico.
Anche la collera, anche l’odio, anche il malumore devono essere trasformati in una forza che innalzi gli uomini sopra gli altri. L’assenzio della tristezza deve essere, colla chimica potente della volontà umana, convertito in un rimedio che guarisca le noje del volgo profano e gli esterismi del genio solitario.
Un sonno tranquillo ha sepolto il mio malumore e i miei sogni alchimisti di trasformazione delle forze, e questa mattina ti scrivo col labbro ridente, guardando con infinita compiacenza il cielo azzurro attraverso i vetri della mia finestra.
Addio, addio mille volte!
Fra le reliquie di William troviamo una pagina senza data e che porta la sola nota di
Un dì d’aprile.
Ho socchiuso la bocca per aspirare l’aria profumata della primavera e mi parve ch’essa avesse lambito le labbra vellutate della mia Emma.
Ho colto una viola e mi è parso che quell’aroma delicato mi scendesse fino al cuore, e me ne vellicasse le fibre più sensibili, come quando l’anima mia si sente vicina alla sua Emma.
Ho sprofondato gli occhi nei campi azzurri del cielo infinito; e i fiocchi vaganti delle nubi mi pareva segnassero coi loro scherzi il nome di Emma, con caratteri d’argento in campo d’oltremare.