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della natura creatrice, ma gli occhi miei si son coperti di un velo e non ho più visto nulla. — Dammi la mano, o cara, ho bisogno di non esser solo.

Gli occhi miei si son levati dalla terra, dove pazienti ed acuti si erano indarno affaticati, e li portai nei cieli. Stolto ricercai i confini dell’universo infinito ma lo splendore di tanti soli accecò la mia vista e non vidi più nulla. — Dammi la mano, o cara, ho bisogno di non esser solo.

La mia mano temeraria penetrò là dove la natura, coprendosi d’un pudico velo cela i più sublimi misteri; là dove la vita, nascendo dalle rovine della morte, ci fa sentire il suo primo palpito; ma la mia mano di ferro soffocò, distrusse il germe delicato, e non più un palpito vi rispose. — Metti la tua mano, o cara, sulla mia fronte, e spegni il fuoco che la divora.

Per ogni lato dove la mia mente si volge cercando il vero; per ogni luogo dove andò ricercando i misteri della vita, si trovò sbarrata la via; e mal sapendosi accontentare dei vuoti suoni di cui l’andavano vezzeggiando i sapienti fortunati, dopo una lotta inutile e forsennata per spezzare i confini segnati all’umana ragione, giacque spossata ed affranta. — Dammi la mano e stringi la mia, sicchè io possa sentire d’averti vicino; ho bisogno di non sentirmi solo.

Il mio vergine cuore si è fatto sentire e mi si è schiuso un nuovo orizzonte, ristretto da ridenti colline e da prati fioriti; ed io apersi le braccia per stringere al mio seno quel paradiso... Ma dammi la mano, o cara, e stringi la mia ancor più forte, che il solo ricordarlo mi spaventa, ed io ho bisogno di non sentirmi solo.

Ma a che lacerare una piaga che è chiusa da pochi giorni? Le lotte sfortunate della mente, le sconfitte della ragione umana hanno ancora un’eco remota che soddisfa la nostra superbia; ma gli sconforti del cuore hanno un eco lontano che non si cancella col tempo, che si ricorda sempre con immenso dolore.

O cara appoggia la tua mano sul mio cuore, e calmane i moti concitati. Fammi sentire che io non son solo.