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emma a william.

Londra, mercoledì 11 ant.

Questa mattina ho fatto una scoverta e voglio comunicartela sùbito, che non potrei aspettare fino a domani, quando tu verrai da me. Io era tutta occupata a godermi quella voluttà del cuore che ho imparato da te, famosissimo libertino del sentimento. Stava copiando quella mia lettera che ti ho scritto ieri, e la stava collocando fra due delle tue lettere; così come sempre ho fatto, dacché ho saputo che tu facevi lo stesso. E sdrajata sul mio safà, io andava scorrendo quel libro che mi è più caro di ogni cosa al mondo, e mi compiaceva vivamente nel vedere intrecciati amorosamente i miei pensieri coi tuoi. Qualche volta la fantasia e la gioia, dandosi la mano, mi facevano credere che le mie parole fossero liete di adagiarsi sulle tue, e mi pareva di vedermele danzar dinanzi agli occhi per tanta loro fortuna.

Quel volume è tutto profumato dall’odore delle viole l’odore che a te è più caro d’ogni altro.

Or bene, mio William, leggendo molte e molte pagine delle mie lettere e delle tue, ho scoperto che noi abbiamo lo stesso stile, che adoperiamo perfino le stesse parole per esprimere le stesse cose, che infine ci sarebbe a scommettere che un profano ad occhi chiusi non saprebbe molte volte indovinare di chi sia la lettera che si leggesse.

Appena mi passò per la mente questo pensiero, volli mettere alla prova la mia scoperta, e saltando come una pazzarella dal mio letto, corsi nella camera vicina, dove stava la zia Anna e le feci la scommessa che non saprebbe indovinare chi fosse l’autore d’uno scritto che gli andrei leggendo, ma di cui ella non avesse potuto vedere i caratteri. La buona mia zia si mise a ridere e si sottopose volontieri all’esperimento.

— Io non ti leggerò che scritti di William e scritti miei; mi hai a dire di quale di noi due siano essi.

— Sta bene, incomincia.