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nano il capo dinanzi alla statua del dovere; tutti ne risentono un’influenza salutare che ci innalza e ci fa davvero immortali; provano i brividi che sente chi cammina solitario in un tempio smisurato e muto.
La creatura che si sacrifica al proprio dovere è il vero santo dell’umanità e chi ne risente il contatto o ne aspira l’alito, rimane santificato.
Tu, mia Emma, sarai una di queste sante; lo sarai di certo, lo giuro io per te. Questa sicurezza beata mi farà sorridere sul letto di morte.
william a emma.
Londra, 3 luglio 18...
Con quanta gioia, gettando uno sguardo sulle nostre lettere vedo che un lungo abisso di giorni separa l’ultima che scrivevi nel paradiso di San Terenzo da questa che a pochi minuti di distanza dalla tua casa ti scrivo sotto il cielo bigio di Londra. Tu, mio tiranno, mi hai imposto otto giorni d’esilio, e il tuo schiavo, baciando umilmente la mano del suo padrone ha accettato l’esilio. M’hai detto, sorridendo e dandomi una ceffatina, ch’io ti vedeva troppo spesso, che passava le frontiere che devono separarci, che il fratello diventava troppo simile ad un amante; ed io subisco la pena del mio contrabbando. Non mi lamento, Emma; farò di diventar proprio un fratello, null’altro che un fratello per te. È un mestiere molto difficile e che non ho mai imparato, perchè io fui sempre solo nella mia famiglia, ma con una maestra così paziente e così calma come miss Emma, farò dei progressi e diventerò maestro anch’io nell’arte di fare il fratello colla donna che si ama sopra ogni cosa in questo mondo.
Ma no, ma no: non ho il diritto di lamentarmi nè di nascondere il mio dolore sotto una vernice di ironia maligna. Non mi hai tu concesso di sperare, non ti sei tu decisa per amor mio a consultare tre dei medici più famosi di Londra per sapere se, facendoti robusta, tu