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il primo e l’ultimo saluto della giornata, egli non voleva mai baciarmi sulle labbra, ma solo sulla fronte.

Sul finire del febbraio parve migliorasse alquanto. Lo zio Thom era venuto da Londra e aveva suggerito un cambiamento nel metodo di cura che lo aveva rinvigorito in pochi giorni. Si alzava, e appoggiato ad un bastone andava a passare alcune ore nel giardino. La zia Anna ed io eravamo liete assai di questo miglioramento, ma quando si cercava di far sorridere il nostro malato, crollava il capo e mostrava sul suo volto una disperazione che ci faceva paura.

Un giorno si alza per tempo e dà gli ordini di prepararci per ritornare a Londra. La zia Anna ed io, sgomentate per questa imprudente sua risoluzione, corriamo da lui, tentando di smuoverlo dal suo proposito. Il dott. Thom gli aveva imposto di rimanere a Mentone, finchè egli stesso non gli avesse dato licenza di partire, ma per la prima volta mio padre disubbidiva al suo medico. La zia Anna gridò, minacciò, io mi gettai alle ginocchia di mio padre, e, abbracciandolo stretto stretto, lo scongiurai per amor mio a voler aspettare che l’aria si fosse un poco intiepidita per intraprendere quel viaggio temerario. Tutto fu inutile, ed egli era tanto esasperato che si alzò gridando: Voglio andare a morire in Inghilterra; io voglio morire in casa mia. Non aveva mai udito quell’accento a mio padre, e ritirandomi per preparare i nostri bauli, lungamente piansi, perchè in quelle parole aveva creduto di leggere la sentenza di morte del mio povero babbo.

In otto giorni si andò a Londra: ma mio padre vi arrivò in uno stato deplorabile. Il dottor Thom, appena lo ebbe veduto, crollò il capo e disse: «questo uomo ha voluto ammazzarsi.»

Erano dieci giorni che mio padre era a letto divorato da una febbre gagliarda, quando una sera mi manda a chiamare. Era tarda l’ora ed io era già presso a coricarmi. Lo trovai solo; la lucerna era velata e nascosta. Mio padre era seduto sul letto, e appena mi appressai a lui, mi prese per mano e sentii che la sua era ardente e piena di sudore. Senza lasciare la mia di fece sedere sul letto e mi disse: «Emma, sai tu