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lato, e dopo pochi mesi di letto moriva; e mi ricordo di Jenny, un angelo di sorella, sempre vestita di bianco, con una lagrima negli occhi che non si asciugava mai, e che moriva anch’essa, assottigliandosi adagio adagio, come un pezzo di zucchero che si vada sciogliendo nell’acqua. Nel crepuscolo delle mie più antiche memorie mi ricordo di aver detto un giorno a Jenny: «Perchè diventi tu ogni giorno più pallida e più sottile?» E Jenny, con uno scoppio di pianto corse nella sua camera, gridando: «Perchè io muoio.»

Nella mia casa non si rideva mai. Quando i fratelli piccini facevano chiasso, veniva nostro padre con un cipiglio così serio da far spavento a un eroe e ci faceva tacere. C’era sempre qualche malato a letto, che non si doveva disturbare. Il medico e le medicine andavano e venivano sempre da casa nostra con eterna monotonia. Anche a tavola si taceva sempre e ci eravamo abituati a mangiare senza far stridere la forchetta e il coltello sul nostro piatto, a bevere senza battere i bicchieri contro le bottiglie.

Per molti anni mi ricordo che in casa nostra si era sempre vestiti a lutto.

Eravamo dodici figli; e tu vedi, sono rimasta sola; io l’ultima; e nascendo uccisi mia madre, che non ho mai conosciuta. La zia Anna mi allevò; e l’amo tanto perchè mi dicono che molto rassomigli alla mia povera mamma.

Anche mio padre era sempre malato, tossiva sempre, e mi ricordo che per molti inverni si andava con lui a Nizza o a Pisa. Una volta si andò fino ad Algeri e si rimase per alcuni mesi a bordo d’una nave. Potrei contare le parole che mi ha detto mio padre in tutta la mia vita; ma spesso mi teneva sulle ginocchia e mi baciava cento e cento volte, e passava la sua mano fra i miei capelli. Egli stesso mi pettinava e mi vestiva, ed io lo amava e lo temeva in una sola volta; provava per lui una venerazione come quella che si sente quando si prega Dio in una chiesa grande e deserta. Mio padre era così infelice, portava sul volto le traccie di un dolore così profondo, così infinito, che non lo