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la gioia e la verità intorno a me; ma il vostro povero William invece non sapeva fare che una cosa sola: amarvi, amarvi con tutta la forza che dà la disperazione.

Poco a poco però quell’esaltamento continuo in cui mi trovava, quell’immaginarmi vivo e attivo in un mondo che non esisteva mi trassero in una specie di demenza, in una vera follia che mi metteva paura più che la morte; e fin da giovinetto ho sempre avuto più orrore di quella morte della ragione che si dice la pazzia, che della morte intiera che non è poi che la negazione della vita, la negazione d’una ben povera cosa.

Allora risorsi ad un tratto come una molla compressa da lunghi anni e che, levato il peso, solleva e schianta ogni ostacolo. In pochi minuti vidi chiaro il mio posto nel mondo, sentii che tre mesi di separazione mi avevano fatto sempre più innamorato di voi, sentii che senza di voi la vita era per me un peso insopportabile, una tortura senza nome. Vi aveva promesso di vivere, ma, continuando così come faceva da tre mesi, sarei divenuto un povero demente, e voi di certo, voi così buona non avreste voluto fare del vostro William un pazzo. Allora pensai di cercarvi, di cercarvi in capo al mondo, se fosse stato necessario di domandarvi il vostro amore o la restituzione della mia parola. Era un dilemma crudele, ma inesorabile: io non ne sapeva veder altro, non ne poteva immaginare uno migliore.

Nei labirinti del cervello, fra i vulcani del cuore mille e mille pensieri sorgono, si accavallano, si intrecciano; mille passioni si fondono, si equilibrano, si elidono; ma venuto il dì della battaglia, ogni nebbia sparisce, ogni delirio s’accheta, ogni convulsione si calma e sul campo trasparente dell’azione rimane con matematica crudeltà dinanzi a voi un dilemma; la lotta di due principii, di due passioni, di due individui, di due epoche, di due armate; due cose insomma, delle quali una deve vincere e l’altra deve perdere; due cose vive, una delle quali deve morire.

E per me il dilemma era uno solo; o vivere col vostro amore, o morire.