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umida della notte vi baciavan le vostre spalle, quando una brezza capricciosa non li portava ad accarezzarvi il mento.
Non ebbi in quelle ore che un solo dolore che mi fece ripensare cose tristi: era la vista delle coste d’Inghilterra che si andavano facendo sempre più chiare ai miei occhi. Voi in tutta la sera non mi diceste che una parola sola:
«Che ne dite William? un tubo di ferro basta a nascondere tutto un mondo, un fiocco di fumo basta a celar tutto il mar di luce che spande intorno la luna. Non è forse così di tutta la vita, di tutto l’uomo? Vedere il cielo e non toccarlo mai, sentir Dio e non intenderlo, abbracciare il mondo e morire di mal di ventre?»
Non so quel che risposi, ma ben ricordo che voi un momento dopo avete lasciato cadere sul cassero il vostro fazzoletto su cui appoggiavate il vostro capo. Io mi chinai a raccoglierlo, le nostre mani si incontrarono e la vostra strinse la mia. Quanto abisso mi si aperse in quel momento! Emma, il tempo non esiste per il pensiero, l’orologio non fu fatto per misurare i moti del cuore.
Questo so, che voi di quella stretta vi pentiste o aveste paura... Vi levaste in piedi, diceste che l’aria della notte vi faceva male; svegliaste bruscamente vostra zia e con essa vi ritiraste nella vostra cabina. Tutto questo fu l’affare d’un minuto; credetti d’aver sognato; non so se risposi al vostro asciutto e freddo: Buona notte M.r William. Questo solo ricordo, che rimasi solo, inorridito di me stesso: tremante come un fanciullo, colla coscienza di essere in un momento solo un verme e un Dio. Metà dell’anima mia gridava ancora esultando: William, tu sei l’uomo più felice del mondo mentre l’altra metà malata, intirizzita, mi gridava ancor più forte: tu sei la più sciagurata, la più miserabile delle creature vive.
Da quella sera, miss Emma, un abisso ci ha separati. Voi mi avete sfuggito, e non contenta di cambiare ad un tratto il luogo della vostra passeggiata, la casa dei vostri ritrovi, voi non avete più voluto incontrare