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vate per via come un fiore smarrito allora allora dal seno di una giovane sposa; ci danno l’ebbrezza di un lampo e sen vanno, senza che la nostra mano irrequieta possa arrestarle o richiamarle; sen vanno a perdersi nel mondo dell’infinito, come nuvoletta che si consuma negli spazii del cielo.
L’incanto di quella vista doveva durar poco; un gridare di cento bocche, un pandemonio di cento bestemmie portoghesi, aspre d’accento e più aspre di senso ci richiamarono al bisogno di sbarcare, di trovarci una barchetta fra le tante che impertinenti e schiamazzanti battevano il loro capo contro il Thames. E poi fra gli urli e le grida, appena sbarcati dovetti a forza aprirmi la via fra gente mezzo nuda che mi offriva un cavallo; e gente dalla giubba che mi offriva un albergo; e venditori di bastoni e venditrici di merletti; e un mondo d’altri uomini e d’altre donne che in ottimo portoghese, in pessimo francese, e in cattivo inglese volevano tutti qualcosa da me e senza che io volessi alcuna cosa da loro.
Consummatum est; l’istante della voluttà era consumato, ma io l’aveva scritto in quella parte del cuore dove nulla si cancella. Nel bilancio delle forze della vita otto giorni di navigazione erano stati compensati ad usura dalla rapida fantasmagoria del panorama di Madera: ora la realtà della vita mi chiamava alla difesa personale, allo studio pratico di Funchal; infine la poesia cedeva il posto all’amministrazione della vita. William non era sbarcato con noi.
Un raggio di poesia ebbi anche nella colazione; un bicchiere di antico vino di Madera, di quel vino che in quell’epoca era già morente e che si sorbillava con gelosa avarizia da quei fortunati che lo conservavano nei segreti archivi delle loro cantine; e poi una tazza di caffè, come confesso di non aver bevuto mai in nessuna parte d’Europa, d’Africa o d’America. Mentre lo stava sorbendo con voluttuoso raccoglimento, mi ricordo di aver fatto una serena meditazione sulla efficacia dell’educazione. Quel caffè non era di Moka, non era di Yungas: era modestamente cresciuto nell’orto cittadino del signore che mi offriva la sua cortese ospi-