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miss anna a william.

Londra, 3 agosto.

William, la nostra Emma è morta; ed io non trovo altra parola, ed io non so immaginare ipocrisia pietosa che valga a farmi tacere. Ah William, tu che l’hai tanto amata, tu che vivrai eternamente colla memoria di quell’angelo che abbiam perduto, capirai la mia brutalità. Perchè tenterei nasconderti l’orrenda novella fra le pieghe di lunghi periodi, perchè tenterei nasconderla nell’ultima pagina della mia lettera? Son sicura che all’aprir questo foglio, tu sentiresti nell’aria l’odore della fossa, ed io non potrei ingannarti.

Potrei tacerti ancora per qualche mese l’orribile parola, ma il mio silenzio sarebbe ancor più crudele. Ella ti aveva giurato di scriverti ad ogni corriere, e tu non avresti più ricevuto notizie di Emma. Vi ha qualche cosa peggiore della morte, ed è l’agonia.

Son quindici giorni che la nostra Emma riposa nel bosco dei pini, nel parco, vicino al ponticello; e solo perchè oggi parte il corriere, dopo una lunga tortura ho potuto prender la penna e scriverti. William, come possono tollerare la vita coloro che non credono in Dio come possiamo sentirci strappar vivente il cuore a brani a brani, mentre siamo ancor vivi, senza credere che rivedremo un giorno i nostri cari? Ho letto che gli abitanti dell’Abissinia strappano dai bovi brandelli palpitanti di carne che poi fanno cuocere per loro alimento: e così di giorno in giorno macellano e straziano quei poveri animali, finchè non rimangono che ossa e viscere, mal vive o mal morte. Ma non siamo noi nel corso della nostra vita in tutto eguali ai bovi dell’abissinia? Non perdiam noi lembo a lembo i nostri più santi affetti; e chi vive a lungo non si trova all’ultimo ridotto ad uno scheletro senza carni e senza gioia, ma che pur cammina spolpato ed esangue per la lunga abitudine di aver vissuto?

William, pensa che la tua Emma è morta sicura di rivederti in un mondo migliore, ha chiuso gli occhi