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di marco tullio cicerone | 299 |
e scrissi ne’ miei diarii. Lieto dunque vado inoltrandomi alla volta dell’altra vita, nè soffrirei certamente per parte di chicchessia un tentativo di ritardarmene il passaggio, siccome avveniva di Pelia.
Sono preparato a ricusare la mano d’un Dio ove fosse meco tanto liberale di farmi retrocedere all’infanzia: perchè non ama ritornare alle riprese chi, già percorso lo stadio, ha quasi toccato il pallio.
Parliamo schiettamente: l’uomo nella sua vita non ha piaceri disgiunti da incomodi; e seppure ne ha, o presto se ne sazia, o presto ne trova il fine. Io però di essa non mi lagno siccome ciò fanno molti ed anche dotti; e non voglio pentirmi d’avere vissuto, poichè vissi in sì fatta guisa da non credermi inutilmente nato: e parto da queste mortali spoglie come da asilo ospitale, prestatomi dalla natura nel mio pellegrinaggio, e non per stabile soggiorno.
Oh felicissimo giorno quando entrerò in quel consesso di spiriti divini e partirò da questa umana moltitudine e da questo mondo corrotto! Non solamente mi recherò incontro a quei sommi che dianzi vi accennai, ma al mio figliuolo Catone, incomparabile per ingegno e per affetto. Io stesso ne raccolsi le preziose ceneri quando a lui incumbeva di prestarmi quest’estremo uffizio! Ma quell’animo gentile di certo non si allontanò da me, nè ha cessato d’amarmi, e salì in quella dimora dove aspetta la mia venuta. E se è sembrato a voi che venisse da me sopportata con fermezza la mia sciagura, fu perchè trassi conforto dal pensiero di doverlo raggiungere in breve.
Per queste ragioni tutte che meco, o Lelio,