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298 | dialogo intorno alla vecchiezza |
Ciro vicino a morte. Ma ritornando al nostro discorso, nessuno potrà farmi persuaso, o Scipione, che il padre tuo Paulo, e i tuoi due avi Paulo ed Africano, o il padre dell’Africano o suo zio, non che altri molti personaggi chiarissimi, sieno venuti a capo di tante imprese meritevoli della memoria dei secoli venturi, se non stimolati dalla fiducia di appartenere per mezzo dell’anima alla posterità.
O pensi tu forse (per dire qualche cosa in mia lode, all’uso de’ vecchi) che mi sarei addossate tante fatiche e di notte e di giorno, e in città ed al campo, se avessi creduto che la gloria mia dovesse passare assieme alla vita?
Non era egli assai miglior partito, senza disagi e opposizione, questa brevissima età trascorrere nella tranquilla pace d’un ozio beato?
Ma, ignoro in qual modo, l’anima sublimandosi, miri sempre alla posterità: quasi che discostandosi dalla terrena vita fosse per arrivare all’immortalità, la quale se non fosse essenza dell’anima, non sarebbero massimamente gli sforzi dell’uomo al conseguimento d’immortale gloria rivolti.
E perchè credete voi che i sapienti incontrino la morte con pacata anima, mentre viene ricevuta con ribrezzo dagli idioti? Perchè i primi vedendo di più e di lontano, sentono di approssimarsi ad un più lieto soggiorno, e gli altri all’incontro, ottusi come sono, nulla sanno prevedere.
E per verità me accende vivissimo desiderio di trovarmi in compagnia dei vostri maggiori, in vita tanto da me rispettati ed amati; e non solo con i miei coetanei, ma altresì con quei savi, delle cui azioni io medesimo ho udito, e dissi