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di marco tullio cicerone 293

della vita, se arrivi in quel punto in cui sono tuttora intatte le facoltà della mente e del corpo. Allora natura da sè scompone il proprio lavoro, con facilità pari a quella con cui l’artefice disgiunse i membri della nave o della macchina già prima costrutta.

Le saldature fatte di fresco si sconnettono a stento; se logorate dal tempo, a scomporle basta lieve scossa. Laonde a questo fugace avanzo di vita, nè debbono i vecchi afferrarsi troppo tenacemente, nè abbandonarlo da spensierati; e pensò con giudizio Pitagora, facendo divieto all’uomo di disertare dalla guardia della vita senza comando del generale, cioè di Dio. Mostravasi filosofo, siccome era infatti, Solone dicendo che alla sua tomba non voleva mancasse nè dolore, nè il pianto degli amici. Tante care memorie studiavasi quel saggio di lasciare di sè!

Non credo che meglio la pensi Ennio con i seguenti versi:

La vana pompa di singulti e pianto
Risparmiate, miei cari, al cener mio

considerando essere superfluo il rimpianto a que’ nomi che passano all’immortalità.

Il senso della morte, se avvenne alcuno, dura un istante tanto più nei vecchi. Morti che siamo una volta, ogni sensibilità è spenta: o se nol fosse, abbiamo di che esserne lieti. I giovani debbono meditarvi di buon’ora per avvezzarsi a non darsi pensiero della morte, perchè chi non impara ad addomesticarsi con questo pensiero, non può passare tranquillamente i giorni.

Certa è la morte, incerto se verrà a sor-